Dott.ssa Beatrice Chittolini

Beatrice Chittolini
cell. 347 7400412
bea.chittolini@gmail.com

Mi sono laureata all’Università di Padova, successivamente formata in psicodiagnostica sotto la guida del Dott. Giacomo Bruschi presso la Clinica “Villa Maria Luigia” a Monticelli Terme (PR) e poi specializzata in Terapia Sistemico Relazionale presso ISCRA (Modena).

Ho collaborato per diversi anni con il servizio di NPIA presso Az.Us.L. Parma – Distretto Sud Est. Dal 2008 ad oggi esercito attività libero professionale come psicoterapeuta individuale e della famiglia. Svolgo attività come C.T.P. e là dove possibile, introduco strumenti sistemici per la valutazione delle competenze genitoriali e la promozione di interventi volti al cambiamento.

Dal 2011 al 2018, insieme alla Dott.ssa Cristina Piazza, ho coordinato il gruppo di Psicologia Giuridico/Forense dell’Osservatorio Psicologi Parmensi (O.P.P.). Alcuni articoli, pubblicati con i colleghi sul tema dei figli contesi, sono reperibili sul questo sito; comprendono una riflessione critica sui sistemi che perpetrano trascuratezza al minore e una rilettura critica della cosiddetta PAS.

Sono stata titolare dello Sportello scolastico di ascolto psicologico presso l’I.C. di Busseto (PR) negli anni dal 2014 al 2017, svolgendo anche lavoro di rete con i Servizi del territorio, consulenza ai docenti e supporto alle famiglie degli alunni.

Nell’ambito dell’attività libero professionale, che svolgo presso il Centro di Psicoterapia in B.go G. Tommasini n. 11 a Parma, mi occupo da anni di terapia familiare, supporto alla genitorialità nella crisi dei legami familiari insieme a consulenti legali ed avvocati, nonché valutazioni del danno alla persona e supporto psicologico nei casi di mobbing lavorativo.

Ho svolto training specifico E.M.D.R., livello I (terapia elettiva per soggetti traumatizzati, con particolare attenzione al lavoro con i minori).

Tra gli interventi a sostegno dei minori segnalo i “Gruppi di parola per figli di genitori separati” condotti presso il nostro Centro, insieme alla collega Dott.ssa F. Capotosto.

Albo Reg. Emilia-Romagna n. iscriz. 1757a

Quando la conflittualità post-separativa origina alienazione genitoriale

Ottobre 2018

di Cristina Piazza e Beatrice Chittolini.

Il rifiuto di incontrare un genitore da parte di un figlio è un fenomeno che si ritrova spesso in situazioni di conflittualità post-separativa. Tale fenomeno è stato definito da Gardner nel 1984 come Sindrome di Alienazione Parentale o PAS (Parental Alienation Syndrome) e a tutt’oggi rimane oggetto di studio, dibattito e ricerca: la sindrome non è infatti riconosciuta come un disturbo psicopatologico dalla maggioranza della comunità scientifica e giuridica. Studi recenti e accreditati che hanno posto l’accento sulla complessità dei legami familiari hanno evidenziato come questa controversa dinamica psicologica disfunzionale sia da attribuire non più ad una patologia del minore da “curare” ma ad un disturbo della relazione (della triade madre-padre-figlio)…

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Chiamami col tuo Nome: un dialogo sui sentimenti.

di Luisa Seletti, pediatra e psicoterapeuta.

 

Chiamami col tuo nome

Il cinema può offrire spunti per far riflettere genitori e ragazzi sui temi dell’affettività e della sessualità, attraverso modelli che rappresentano un antidoto alla violenza.

In questo periodo in cui la cronaca mette in evidenza numerosi episodi di violenza giovanile, molti sono chiamati a esprimere la propria opinione. Mi è capitato spesso di sentire persone più o meno esperte che caldeggiano stili educativi più autoritari o addirittura punitivi, come prevenzione. Un giornalista, solitamente persona sensibile, ha scritto di aver interpellato, in seguito a questi fatti di cronaca, un suo compagno che da giovane era un po’ teppista, il quale gli avrebbe detto di essere cambiato dopo aver ricevuto uno schiaffo.
Allora penso che sia necessario introdurre un pensiero divergente, ed è il motivo per cui consiglio di andare al cinema a vedere Chiamami col tuo nome, un film di Luca Guadagnino tratto dall’omonimo romanzo di André Aciman. Il film non è direttamente connesso al tema della violenza giovanile, ma offre un modello di genitorialità alternativo rispetto ai luoghi comuni, che attraverso la vicinanza emotiva, attraverso l’educazione sentimentale, permette ai figli di interiorizzare modelli operativi che impediscono l’esercizio della violenza verso l’altro, in qualunque circostanza.
È una storia di formazione che si svolge in un’estate dei primi anni Ottanta. Il protagonista è Elio, un ragazzo di 17 anni in vacanza con i genitori nella casa di campagna. Una campagna anonima e una casa abitata solo d’estate, ma rese entrambe affascinanti dalle persone che le animano.

Il tema della sessualità

A 17 anni la sessualità è un tema rilevante, perché è prorompente e perché c’è tanto da sperimentare; inoltre è connessa alla conoscenza di sé e alla capacità di entrare in relazione con l’altro. Il nostro protagonista, nel caldo, piatto, noioso contesto in cui si svolge la storia, ha modo, per contrasto, di provare emozioni intense legate a questo sperimentare. Elio è sensibile, intelligente, coraggioso. Non ha paura di vivere con slancio i propri desideri, i propri sentimenti. Non ha sensi di colpa o lacerazioni interne. Se usassimo la teoria dell’attaccamento per descriverlo, potremmo definirlo un ragazzo con legami di attaccamento sicuri, che gli permettono di rivolgere lo sguardo verso il mondo che lo circonda e di coglierne gli stimoli.
Conosce una ragazzina, Marzia, anche lei con tanto tempo libero durante le vacanze estive e tanta voglia di provare emozioni. Con lei instaura un rapporto di grande complicità nella scoperta dei loro corpi di adolescenti.
Incontra Oliver, invitato dal padre di Elio, professore di archeologia, a stare nella loro casa delle vacanze per completare la tesi di dottorato. Con Oliver è amore, ma l’innamoramento nei confronti di questo giovane più grande di lui è vissuto come normale, fatto di trepidazione, di attesa, di osservazione dell’altro, di desiderio, di fusione emotiva. Nessun abisso, nessuna perdita di contatto col sé. Anche il momento della separazione, prevista, alla fine della vacanza, è vissuto con grande tristezza, ma con dolcezza, senza disperazione.
Certo, questo ragazzo così intimamente solido nella fluidità delle sue esperienze viene molto aiutato dalle persone che lo circondano: sono tutti come dovrebbero essere, rispettosi, comprensivi… senza ricatti o colpevolizzazioni. Marzia è solare, Oliver protettivo. Anche i genitori sono quelli che avremmo voluto per noi o che vorremmo essere per i nostri figli: illuminati, attenti ma discreti. Sembrano essere distratti, ma vedono tutto, sanno esserci al momento giusto per consolare o per aiutare a elaborare le esperienze. Con il loro aiuto il ragazzo riesce a collocare nella propria biografia un’esperienza potenzialmente destabilizzante, trasformandola in occasione di crescita e di arricchimento.

Le competenze genitoriali

Un bell’esempio di genitorialità responsiva, cioè in grado di rispondere ai bisogni dell’altro. Non mi meraviglio, perché, come si vede in una bella scena del film, questi genitori amano la lettura ad alta voce!
Si potrebbe dire che il film descrive un mondo in cui il privilegio culturale è evidente e che la realtà dei nostri adolescenti è talvolta crudele, soprattutto nell’ambito dell’espressione dei sentimenti e dei desideri, dell’orientamento della propria sessualità. Abbiamo, però, bisogno di speranza, di prendere le distanze da un cinismo ormai pervasivo. I nostri adolescenti hanno bisogno di qualcuno che li accompagni attraverso le esperienze della vita dicendo loro di non preoccuparsi, di vivere, sperimentare! Si può soffrire, piangere, come fa Elio, ma si avrà, come lui, la consapevolezza di aver vissuto un’esperienza unica. Hanno bisogno di qualcuno con cui instaurare un dialogo sui sentimenti.
La cultura è un patrimonio libero, è di tutti e la trasmissione della conoscenza avviene attraverso strade diverse: una di queste può essere un pomeriggio al cinema.
Una bella favola, dunque, che può essere di ispirazione per genitori alle prese con l’educazione sentimentale di un adolescente, un esempio di rispetto per i più giovani, di capacità di riconoscerne gli stati emotivi e di modularli. Competenze genitoriali che, se vengono attuate fin da piccoli, sono l’antidoto migliore alla violenza.

Questo articolo lo potete ritrovare sulla rivista UPPA.it.

Da Latina in poi, di Beatrice Chittolini

Marzo 2018

METTERE PAROLE SUL DOLORE:
ALCUNI PUNTI DA CHIARIRE SULLA TRAGEDIA DI LATINA E UN PENSIERO COMMOSSO ALLE VITTIME.

1) TRAGEDIA DI LATINA E PSICOLOGI: NOTIZIE INFONDATE DALLA STAMPA. NON SIAMO IN COMMISSIONE (PURTROPPO). Una dichiarazione del Presidente dell’Ordine Psicologi umbro David Lazzari, membro dell’Esecutivo nazionale dell’Ordine.

“Molti media hanno riportato che gli Psicologi avrebbero dato carta bianca al Carabiniere di Latina per il possesso dell’arma di servizio. In realtà non ci sono Psicologi nelle Commissioni mediche che valutano queste cose perché la normativa non lo prevede (nonostante le nostre richieste). E quindi la notizia è infondata e va corretta. È vero invece che l’Ordine nazionale nel 2017 ha stipulato una convenzione con l’Arma dei Carabinieri per l’aiuto psicologico ai militari e familiari (vedi sotto). E questa credo sia una notizia, che testimonia la disponibilità della Comunità professionale e dell’Ordine che la rappresenta.

Aggiungo una considerazione generale. Il buon uso delle competenze psicologiche è importante e a volte risolutivo (in queste situazioni sempre necessario anche se, come ovvio, non sempre sufficiente da solo), ma il più delle volte non sono gli Psicologi a deciderlo… siamo indietro culturalmente e come normativa su questo…”

2) I TENTATIVI DI RIAPPACIFICAZIONE BONARIA portati avanti da personale non qualificato possono essere letali, così come ogni pressione da parte di elementi del sistema di relazioni (o contesto sociale) che coattivamente ripete azioni volte a tenere insieme una coppia disfunzionale, improntata alla violenza. Mi riferisco — dando per assodato alcune informazioni fornite dalla stampa, fosse solo perché si ripetono trasversalmente alle varie testate — alle azioni di “mediazione impropria del conflitto” messe in atto sia dalle Forze dell’Ordine stesse, che al “supporto psicologico alla coppia” fornito dall’ambiente ecclesiastico (parrocchia) che i due frequentavano. La fase di pentimento e attenzioni amorevoli — fase di latenza o di “luna di miele“ — è stata descritta come uno dei quattro momenti essenziali della spirale della violenza (Walker 1983): i tentativi maldestri e inappropriati sopra descritti, dunque, non fanno altro che ALIMENTARE QUESTA DINAMICA VIOLENTA E NON DI RADO MORTIFERA.

3) OCCORRE DENUNCIARE gli aggressori per tutelare se stesse (o più raramente se stessi) ed i figli: non basta un esposto. Per reati contro la persona, procedibili d’ufficio e, in particolare, per quella costellazione di atti ripetuti e persecutori che vanno a configurare il reato stalking occorre un atto forte, pieno, inequivocabile affinché l’Autorità Giudiziaria possa mettere in atto la serie di provvedimenti (allontanamento) a tutela della parte offesa. E questo è un punto più che dolente: da quanto sappiamo Antonietta, come molte altre mogli e madri, è arrivata a “Solo esposti, non voleva denunciare i maltrattamenti per non far finire nei guai il padre delle sue figlie.” (La Stampa, giovedì 1 marzo). Qualunque siano le motivazioni espresse di questa scelta “protettiva” verso l’aggressore, occorre l’intervento delicato di uno psicologo esperto per poter sciogliere il nodo patologico che sorregge e imprigiona i due coniugi entro un patto di coppia malato, disperante e portare la parte offesa al pieno esercizio dei suoi diritti e all’utilizzo pieno dei dispositivi di legge per la “messa in sicurezza” della propria persona e dei figli.

Per inciso: il fatto che l’aggressore indossi una divisa non dovrebbe più rappresentare un deterrente. sappiamo che tra i femminicidi in un caso su dieci l’omicida appartiene alle Forze dell’Ordine. Ma la Legge è uguale per tutti a meno che non ci lasciamo distrarre/confondere/intimorire dalle apparenze. Non esiste una categoria professionale né un ceto sociale né altro insieme o raggruppamento di uomini esenti dalla possibilità di pervenire a violenza di genere e femminicidio, ma solo elementi diagnostici e fattori prognostici che possono aiutarci a valutare la pericolosità di persone, relazioni e contesti. Facciamo presente, per inciso, anche la L. 154/2001 “misure contro la violenza nelle relazioni familiari” che, previa denuncia, può garantire l’allontanamento dell’aggressore dalla casa familiare e dai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima.

4) LA MEDIAZIONE NON È UNA PANACEA: ossia nell’insieme di tutte quelle prassi che vengono denominate ( a volte in modo generico ed appropriato) “mediazione familiare” ritroviamo anche pratiche portate avanti da personale che può non aver mai ricevuto una formazione in psicologia e tantomeno in psicologia delle relazioni familiari, così come da personale che può non avere conseguito il titolo di avvocato. In due parole: casi come quello di Latina, di tale severità e compromissione, possono incappare nell’eventualità di essere presi in carico da un mediatore in senso generico, che per funzione, ruolo e liceità secondo le leggi vigenti, tratta alla stessa stregua conflitti di ordine pecuniario o controversie condominiali. Questo senza svilire nessuno, ma va detto. La chiarezza nel riconoscimento e nella distribuzione delle competenze, e quindi nell’individuazione delle risorse più efficaci da parte di un sistema in sofferenza, può salvare delle vite umane, o perlomeno ridurre drasticamente la probabilità di esiti infausti e tragici come questo. Il modello “pratica congiunta” tra Psicologo e Avvocato nella riorganizzazione dei legami familiari va in questo senso: sono professionalità preparate e formate per non sottovalutare i rischi effettivi in ogni fase dell’iter separativo, nonché attrezzate (lo psicologo) per una valutazione del funzionamento psichico e l’eventuale indicazione alla psicoterapia laddove necessiti. Va detto infine che LA PRATICA CONGIUNTA PSICOLOGO/AVVOCATO PUÒ OCCUPARSI DI CASI GRAVEMENTE COMPROMESSI, CON SOGGETTI AFFETTI DA DISAGIO PSICHICO ACCERTATO E DI RILEVANZA PENALE (DENUNCE PER VIOLENZA) COSA CHE LA MEDIAZIONE FAMILIARE PER DEFINIZIONE NON PUÒ ( e non dovrebbe) FARE.

5) LA FAMIGLIA IN FASE PATOLOGICA UCCIDE PIÙ DELLA MALAVITA: è la considerazione espressa in un articolo a cura del gruppo AMI — Avvocati Matrimonialisti Italiani del 1 marzo reperibile sulla loro pagina Facebook. Nel testo sono presenti alcune indicazioni minime e necessarie adottabili per PREVENIRE gli esiti più tragici della conflittualità tra (ex) coniugi durante il processo di separazione, tra cui: misure immediate a protezione del coniuge che ha denunciato atti di violenza intrafamiliare e coordinamento tra ambito penale e ambito civile nelle attività processuali che dovrebbero esitare in una separazione legale SICURA per ogni elemento del sistema-famiglia. È un pensiero che prima o poi attraversa ogni operatore/professionista impegnato in ambito clinico-giuridico, ma auspico che quanto prima possa diventare azione, realtà effettiva, strumento di buone prassi al momento mancanti ma necessarie.

6) DEI FIGLI DEI FEMMINICIDI CHI SE NE OCCUPA? Sono 1.600 gli orfani di femminicidio e il dato risale a dicembre 2017, quando il Senato ha approvato un Disegno di Legge che offre perlomeno più tutela legale e patrimoniale ai suddetti, oltre a pene più severe agli autori di tale reato. Resta il dramma esistenziale e la sofferenza psichica di questi minori traumatizzati, che quasi sempre vengono affidati ai nonni: altri elementi adulti traumatizzati, appartenenti allo stesso ramo familiare “amputato” dal delitto. Inoltre, per quanto riguarda il tessuto di relazioni, il contesto sociale che dovrà in qualche modo far fronte al trauma, abbiamo a disposizione dei modelli di post-vention entro la scuola (ossia intervento supportivo-facilitativo dell’elaborazione del lutto) per i casi di suicidio in adolescenza, ma sono ancora sporadici gli interventi psicologici a supporto del contesto scuola laddove un compagno di classe sia scomparso per mano di un genitore omicida. Il più delle volte questo tipo di azione è lasciata e dunque svolta (o non svolta) dal corpo docente o dai Dirigenti Scolastici stessi, che si affidano al buon senso, alla propria sensibilità, alle personalissime capacità e risorse nel mettere parole sul dolore. Come vanno a ricomporsi queste ferite? Cosa lasciano nel corpo psichico di un sistema che deve curare se stesso e contemporaneamente soddisfare obiettivi didattici, pedagogici, creare futuro?

7) LA SANITÀ PUBBLICA DISPONE DI CENTRI SPECIALIZZATI NELLA CURA DI UOMINI MALTRATTANTI. Il Servizio Sanitario nazionale, da alcuni anni, ha attivato questo tipo di risorsa improntata alla cura e alla riabilitazione, per favorire la fuoriuscita degli offenders dalla spirale della violenza. Non sono ancora presenti in ogni capoluogo di Provincia, ma le indicazioni sono reperibili sicuramente nei presidi (Case della Salute) oppure online. Proviamo a creare un futuro diverso anche per gli autori di violenza.

Dott.ssa Beatrice Chittolini

 

INFANZIA: vulnerabilità, fragilità e dintorni

I tragitti della fiducia nella sfida della crescita — Come rendere i nostri figli più resilienti

21 MARZO 2013 ore 18-20 presso l’Istituto Sacro Cuore, via Paisiello 5 Modena

Conversazione con Dr.ssa Franca Capotosto – Psicologa, Mediatrice familiare Centro Studi Relazionali e Terapia della Famiglia

La resilienza è la capacità dei bambini di resistere, di superare le piccole (o grandi) difficoltà che incontrano sul  loro cammino. La resilienza non è innata.

Come “allenare” i nostri figli ad essere più forti, sicuri, capaci di andare avanti, nonostante le difficoltà?

Come  la Famiglia, la Scuola, la Comunità possono creare una rete che rassicuri e dia fiducia?

Decalogo per genitori in fase di separazione

5 febbraio 2013

Di fronte alla separazione nei genitori sorgono spontaneamente domande, dubbi, perplessità. Tra le più frequenti…

Come dico a mio figlio che ci stiamo separando? Chi glielo deve dire?
Come la prenderà? Come la prenderanno i nonni?
Ho un nuovo compagno (o compagna). Quando posso presentarlo a mio figlio?
Dobbiamo informare la scuola?
Ce la metto tutta ma… ci ha già visti litigare. Cosa possiamo fare? Come lo rassicuriamo?
Nonostante siamo già separati continuiamo a litigare come prima…come lo teniamo al riparo?
Come faccio a far sentire sua anche la casa di papà (o della mamma)? Spostarsi continuamente da una casa all’altra non sarà troppo pesante per lui?
Non gli mancherò troppo quando sarà con la mamma/con il papà?

Proviamo a dare qualche risposta:

Come dico a mio figlio che ci stiamo separando? Chi glielo deve dire? La comunicazione circa la decisione dei genitori di separarsi è un momento importante, perché segna un cambiamento nell’assetto della famiglia e perché, comunicandola, i genitori rendono effettiva questa scelta. Ai figli vorrebbe comunicata con chiarezza, in termini comprensibili relativamente alla loro età e possibilmente insieme. Per i figli si rivela più dannoso permanere in uno stato di incertezza, confusione o ambiguità in considerazione anche del fatto che i bambini/ragazzi sono sempre particolarmente attenti a cogliere gli stati emotivi degli adulti di riferimento.
Nel rispetto dei bisogni di bambini e ragazzi e della loro sensibilità è assolutamente da evitare che diventino i custodi dei segreti di mamma o papà (ad esempio rispetto a nuove relazioni affettive in cui i genitori possono essere coinvolti).
A questo proposito, è buona norma separare gli aspetti che attengono alla propria vita personale dai compiti più propriamente genitoriali.

Come la prenderà? Le reazioni emotive possono essere le più diverse. Dalla rabbia al pianto (che può essere manifestazione di rabbia appunto e non sempre di tristezza), alla paura per l’incertezza sul chi si prenderà cura di lui. Non di rado i figli si chiudono nel silenzio, che può rappresentare una strategia per affrontare ed elaborare la novità oppure può essere il silenzio di chi acconsente e finalmente intravede una tregua ai litigi.
A volte possono comparire comportamenti strani, anomali che si risolvono spontaneamente se gli adulti di riferimento (genitori,nonni,educatori) aiutano i bambini/ragazzi ad accettare la situazione e soprattutto se la conflittualità tra i genitori si risolve. Le evidenze scientifiche riportano che con il passare del tempo (due anni circa senza l’intervento di eventi avversi) la maggior parte dei minori riacquista un equilibrio interiore, adattandosi alla nuova situazione familiare sperimentando, con rinnovata fiducia, sentimenti di conferma e di accoglimento affettivo.

Ho un nuovo compagno (o compagna). Quando posso presentarlo a mio figlio?
I bambini/ragazzi hanno bisogno di tempo per elaborare i cambiamenti, perciò è opportuno lasciare trascorrere u intervallo di tempo ragionevole prima di introdurre ai figli i nuovi partner. Questa “novità”, infatti, non dovrebbe essere comunicata nelle prime fasi del processo separativo.

Dobbiamo informare la scuola? Quando?
Gli insegnanti andrebbero tempestivamente informati dei cambiamenti in atto nella famiglia.
E’ possibile che soprattutto nelle fase di definizione della separazione, che è il momento più incerto di tutto il processo, i bambini /ragazzi manifestino a scuola difficoltà comportamentali e un calo nel rendimento. Solitamente, una volta definita la separazione, ma soprattutto quando rientra la conflittualità, anche il disagio in ambito scolastico tende a rientrare.
E’ comunque importante, per quanto possibile, comunicare costantemente con gli insegnanti in quanto l’osservazione dei bambini/ragazzi in un contesto diverso da quello familiare può fornire informazioni indicative del grado di adattamento dei figli alla nuova situazione. Non sottovalutare le osservazioni degli insegnanti soprattutto nei casi in cui le difficoltà manifestate non rientrino. Eventualmente possiamo rivolgersi ad un esperto (psicologo) che ci aiuti a capire cosa sta vivendo il bambino/ragazzo in questo momento.

Ce la metto tutta ma… ci ha già visti litigare. Cosa possiamo fare? Come lo rassicuriamo? Il conflitto è parte della vita e i bambini. Fin da piccoli lo sperimentano in contesti anche diversi dalla famiglia, come la scuola, lo sport, in Tv ecc. Generalmente sono ricondotti dagli adulti a fare pace, ad appianare i dissidi ed è possibile, quindi, che non riescano a capacitarsi dell’impossibilità dei genitori a superare le divergenze. Naturalmente è bene tenere i figli al riparo dalla conflittualità anche nei difficili momenti in cui sta maturando la decisione di separarsi perché possono sentirsi minacciati nelle sicurezze di base o ancor più possono sentirsi responsabili di ciò che sta accadendo, dunque in colpa.

Nonostante siamo già separati continuiamo a litigare come prima… come lo teniamo al riparo? A volte, malgrado tutto, il conflitto continua come prima e più di prima nonostante la separazione. Nei casi in cui la comunicazione tra ex coniugi sia particolarmente disfunzionale anche i figli tendono ad essere coinvolti assumendo il ruolo di messaggeri delle informazioni che padre e madre non riescono a scambiarsi personalmente. Allora c’è chi chiede con tutta la sua forza ai genitori “non mettetemi in mezzo come messaggero tra di voi, provate a parlarvi direttamente…” o ancora “non continuate a parlare male l’uno dell’altra, per me è troppo doloroso io mi sento morire dentro”. Più spesso questo tipo di sofferenza che coinvolge i figli passa inosservata: agli occhi degli adulti sembra normale che i figli svolgano il ruolo di “facilitatori” della comunicazione tra madre e padre. In realtà questa modalità relazionale li distoglie dai loro compiti evolutivi, dalla loro vita, dai loro progetti, in una parola dalla loro soggettività.
Nei casi in cui, nonostante la separazione il conflitto perduri, è bene chiedere aiuto a professionisti esperti, preparati sia in ambito psicologico che legale (Psicologi ed Avvocati).

Come faccio a far sentire sua anche la nuova casa? Un oggetto (giocattolo o altro) particolarmente significativo per il bambino aiuta a vivere più serenamente il passaggio da una casa all’altra. Così come il fatto che anche l’altro genitore abbia conosciuto la nuova abitazione, che per il bambino rappresenta l’altra “metà” del suo mondo affettivo. La possibilità di ricevere l’altro genitore in questa nuova casa (seppur in via straordinaria rispetto agli accordi consueti sui tempi di visita), rappresenta per i figli un motivo in più per sentire la nuova abitazione un luogo familiare.

Spostarsi continuamente da una casa all’altra non sarà troppo pesante per lui? Il pernottamento nell’altra casa lo turberà?
In genere i bambini si abituano agli spostamenti senza troppe difficoltà, ma non bisogna sottovalutare tutte le energie spese nei passaggi. Dai due anni in poi, tradizionalmente, si considera il bambino sufficientemente individuato dalla figura di attaccamento primaria (solitamente la madre) da poter dormire senza di lei ma comunque con l’altro genitore che solitamente rappresenta una figura familiare rassicuranti. Gli eventuali segni di disagio non vanno mai sottovalutati e, in casi particolari, è opportuno rivolgersi allo psicologo per capire le modalità più idonee per facilitare il sonno e i normali ritmi di vita quotidiani.

Non gli mancherò troppo quando sarà con la mamma/con il papà?
La nuova configurazione familiare in cui mamma e papà non sono contemporaneamente presenti inizialmente può portare nei figli sentimenti di nostalgia verso il genitore assente. Queste emozioni, generalmente, tendono a dissolversi spontaneamente man mano che i bambini/ragazzi si adattano alla nuova situazione.
Va ricordato che è un diritto dei figli ricevere una telefonata quotidiana del genitore che non è presente in quel momento. Per i figli è importante anche che i genitori, sebbene separati, manifestino attenzione ed interesse quotidiani per la loro vita scolastica, per le loro amicizie e per le loro attività sportive.
Inoltre, perché i figli percepiscano continuità nei legami è essenziale porre attenzione agli scambi comunicativi tra madre e padre nei passaggi da una casa all’altra. I figli osservano come il genitore li riconsegna all’altro, se dice qualcosa, cosa dice e come lo dice… Le “malinconie” diminuiscono se si sperimenta la separazione in un contesto sicuro.

Come la prenderanno i nonni? Anche su questo punto non esiste un’unica risposta, in quanto le prime reazioni sono estremamente diverse da caso a caso e dipendono da variabili quali la storia del nucleo familiare (che può aver già sperimentato eventi separativi o no), il tipo di attaccamento con il figlio o la figlia che si sta separando dal coniuge, il grado di autonomia o dipendenza del figlio rispetto ai genitori, l’ordine di genitura dello stesso (cioè la sua posizione tra i fratelli se ne ha) ecc.
Il tipo di attaccamento ai nipoti e il significato che la nascita del nipote ha rappresentato per i nonni sono fattori determinanti per comprendere il grado di coinvolgimento degli stessi nella vicenda. E’ comunque importante sottolineare che la Legge n. 54/2006 (legge sull’affidamento congiunto) ha ribadito il diritto dei minori a mantenere rapporti continuativi con gli ascendenti e con i cugini, gli zii e i parenti in genere dei rispettivi rami familiari.

A cosa mi serve un avvocato in fase di separazione?
Sia che si tratti della fine di un matrimonio, che di una convivenza è sempre opportuno conoscere i propri diritti/doveri in ambito giuridico prima di prendere la decisione di separarsi. È per questo che può essere utile chiedere una consulenza legale per affrontare questo evento con il maggior numero di chiarezze possibili su questioni quali l’assegnazione della casa, l’affido dei figli, l’assegno di mantenimento.

E per finire…
La separazione può essere sperimentata n un’ ottica più evolutiva se è vissuta non soltanto come la fine di un legame, ma anche come l’inizio di una nuova fase della vita. Di lì in poi si lavorerà tutti insieme per trovare un nuovo equilibrio familiare e per ri-progettare un modo nuovo di stare insieme pur se in case diverse e in futuro, in alcuni casi, anche con partners diversi.

Beatrice Chittolini, Emanuela Manara, Cristina Piazza
Gruppo di Psicologia Giuridico/Forense O.P.P.

Parma, 5 febbraio 2013